Nata circa 40 anni fa, la biorobotica si è ricavata spazi sempre più importanti. Merito anche di Paolo Dario, uno dei “padri” di questa branca della robotica che ne illustra presente e futuro
La biorobotica oggi è una scienza sviluppata e che conta su assolute eccellenze a livello mondiale. Eppure, quarant’anni fa era quasi utopia pensare allo sviluppo che oggi ha avuto questa branca della robotica che tocca molti aspetti, spaziando dalla wearable collaborative technology alla protesica, dalla medical robotics alla soft robotic. Uno dei “padri fondatori” della biorobotica, nonché una delle figure storiche della robotica a livello mondiale, è Paolo Dario, professore di Robotica Biomedica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, di cui è fondatore e direttore dell’Istituto di BioRobotica. Quest’estate ha ricevuto il premio IEEE Robotics and Automation Award 2024, riconoscimento tribuito per il suo contributo nell’aver fatto avanzare la bionica e la biorobotica come aree di ricerca chiave a livello mondiale, integrando robotica e medicina.
Perché è proprio questo la biorobotica: scienza e campo d’ingegneria in grado di applicare la robotica a problemi riguardanti la biologia e la medicina, con grandi opportunità e benefici offerti a entrambe. Eppure negli anni Ottanta parlare di biorobotica era pressoché utopistico. Lo sa bene proprio Dario che nel 1989 fu uno degli organizzatori di uno dei primi convegni dedicati al tema a livello mondiale. Lo stesso luminare ha promosso la creazione di numerose imprese industriali ad alta tecnologia nate dalla ricerca svolta nei laboratori da lui fondati e coordinati (l’ARTS Lab e il CRIM Lab, rispettivamente per la ricerca in Robotica Avanzata e in Micro e Nanoingegneria). Tali imprese occupano oggi oltre 150 laureati, come rileva la Scuola Superiore Sant’Anna.
Professor Dario, quali sono stati i passi più significativi nello sviluppo della biorobotica dagli inizi a oggi?
Il primo e più significativo passo è stato l’accettazione di questo termine. All’inizio, anche solo usare il termine biorobotica era una sfida. Invece, quello che ho proposto e sviluppato insieme a un gruppo di allievi poi divenuti a loro volta docenti e colleghi, qui all’Istituto di Biorobotica, che ho fondato e diretto e che conta oggi più di 110 dottorandi, è divenuta una realtà consolidata e in crescita. Poter contare su una massa critica di persone dedicate significa esplorare svariate aree che compongono la biorobotica, che definisco bio ispirazione e bio applicazione, in cui “bio” è un termine centrale. Un’altra sfida fondamentale in questo ambito era l’idea che la robotica, anche grazie alla biorobotica, potesse essere considerata una scienza e non solo una tecnologia come invece era in precedenza. La robotica nasce soprattutto come applicazione di macchine riprogrammabili in ambito industriale. Oltre ad essa c’era il sogno degli automi, degli androidi, dei robot umanoidi, che grazie alla biorobotica siamo riusciti a dar loro concretezza. Così si sono sviluppati robot usati per applicazioni utili all’umanità. Pensiamo solo alla chirurgia robotica: negli anni Ottanta quando pensavamo possibile l’impiego di robot in questo campo medico, io e i miei colleghi – assoluti pionieri – rischiavamo di essere presi per pazzi. Oggi, invece, sappiamo quanto sia usuale questa pratica, specie in diversi ambiti.
Oggi si è affermato il concetto di One Health, ovvero di salute in senso olistico, che riguarda sì l’uomo, ma riconosce la connessione tra persone, animali e ambiente. L’automazione e la robotica – specie la biorobotica – possono essere protagoniste di questa visione: insieme all’uomo, possono prendersi cura del mondo.
Ancora a proposito della robotica (e della biorobotica) come scienza, lo ritengo un passo fondamentale, ma complesso che è stato percorso in vari modi. Personalmente, mi sono sempre ispirato alla visione della natura, alla opportunità di studiarla e di ispirarsi ad essa, lavorando in collaborazione con biologi e neuroscienziati per sviluppare nuove funzionalità per i robot.
Ancora oggi, più che a ChatGPT e alle potenzialità, pure importanti, della Generative AI, mi attrae maggiormente osservare un gatto, studiarne le movenze, la grazia, l’armonia e il ruolo svolto da muscoli, organi, tendini.
Che ruolo hanno avuto e hanno tuttora le tecniche di intelligenza artificiale per lo sviluppo della biorobotica?
Direi che hanno avuto un ruolo a fasi alterne, con picchi di grande entusiasmo, come l’avvento delle reti neurali, alla consapevolezza dei limiti conseguiti dalla mancanza di dati e la velocità dei processori, allora non certo così rapidi come oggi. Grazie a fattori diversi, legati a tecnologie impiegate nella vita quotidiana, come i videogiochi e l’avvento degli smartphone, ricchi di sensori, l’evoluzione tecnologica ha contribuito ai progressi anche dell’AI e al contributo, specie negli ultimi dieci anni, alla robotica.
Tuttavia, non credo che la conoscenza attuale dell’intelligenza artificiale riesca a fornire contributi significativi nel ricreare la grazia del movimento del gatto, per tornare all’esempio citato, o ai movimenti fluidi del ballo, per ricollegarmi all’uomo.
Penso all’evoluzione dei robot, che negli anni sono stati messi nelle condizioni di avere un contatto con l’uomo (fino a 10 anni fa era impossibile). Si è sviluppata così la robotica collaborativa, per cui l’Italia e l’Europa hanno avuto un grande contributo, lavorando notevolmente per raggiungere questo traguardo. Realizzare robot che possano essere “compagni di strada”, assistenti in grado di aiutarci in ogni fase delle nostre esistenze è la vera chiave dello sviluppo robotico. Non serve che facciano discorsi raffinati, ma che ci aiutino fisicamente.
Detto questo, ritengo che l’AI non sia un elemento basilare, anche se ha la sua importanza. Un ambito in cui potrà fornire un importante contributo alla robotica sta nel migliorare il controllo del corpo, della fisicità, ed è la vera sfida nel realizzare macchine utili. I robot, per la loro stessa natura, sono macchine, oggetti fisici che operano in un mondo fisico. Nel corso dei miei studi, anche in collaborazione con neuroscienziati, culminati anche in progetti come Neurobotics – pionieristico nel cercare un’alleanza tra neuroscienze e robotica – ci siamo interpellati sul valore dell’intelligenza. Uno dei temi su cui abbiamo riflettuto è il valore dell’anticipazione, ovvero la capacità di prevedere e anticipare determinate azioni collegate ai fattori esterni. Qui sta il valore segreto dell’intelligenza, che nasce come elemento vincente degli esseri evoluti nel prevedere e rispondere quanto più rapidamente a determinati stimoli. È un concetto che vede al centro il corpo: noi siamo esseri reali, non virtuali, che viviamo in un mondo fisico, con forze e attriti.
Quali sono le sfide più importanti su cui lavora la biorobotica oggi?
Innanzitutto intenderla nel suo valore di scienza, finalizzata a comprendere meglio come funzionano gli esseri viventi. Sono convinto che dalla scienza potrà venire l’innovazione più radicale, disruptive. Uno dei meriti della biorobotica è aver unito scienza, tecnologia e ingegneria ed è un ruolo importantissimo.
Alle scienze fisiche vanno unite anche quelle umane e sociali: anche questa è la biorobotica, ovvero realizzare macchine con la consapevolezza di fare cose buone. Mi viene in mente il 26esimo Canto della Divina Commedia in cui Dante incontra Ulisse e Diomede: i tre parlano di “virtute e canoscenza” ovvero di conoscenza scientifica e tecnologica e di principi. Sono due elementi fondamentali senza i quali il progresso è carente. La biorobotica può e deve sempre trovare la sua linea programmatica in questi elementi e valori.
C’è poi un’altra grande sfida: è quella del corpo e del suo funzionamento. In questo entrano in gioco nuove tecnologie come la scienza di materiali, l’implicazione con l’energia e l’efficienza energetica necessaria, la necessità di sviluppare realizzazioni attente all’economia circolare.
Si lavora anche all’evoluzione dei robot, che saranno sempre più connessi, dotati di un’intelligenza distribuita.
Nel futuro quali potenzialità si apriranno nella biorobotica?
Credo che assisteremo a un’evoluzione più che a una rivoluzione. La comunità italiana, molto avanzata, e internazionale, sta lavorando sempre più sull’integrazione delle conoscenze che porterà a risultati molto interessanti. Quello che rilevo oggi è un grande fermento, con una grande partecipazione e interesse da parte dei giovani, che oggi costituiscono il 90% dei partecipanti ai grandi eventi mondiali della robotica. Si nota una convergenza di conoscenze, e nel prossimo futuro vedremo realizzazioni di grande interesse. Quando penso al futuro faccio spesso riferimento a un film profetico, Io, Robot (2004), tratto da un libro di Asimov, ambientato nella Chicago del 2035 in cui coabitano uomini e robot. Credo sia realistica e attuabile questa visione: dalle auto ai droni fino ai robot sottomarini molte applicazioni robotiche saranno parte della vita quotidiana.
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