Firenze, Villa Vittoria. Nel Sala Verde c’è l’energia dei momenti in cui sta succedendo qualcosa. Imprenditrici, dirigenti pubblici, docenti delle università toscane, direttori di distretto, startup deep tech, accademici, giovani studenti appena diplomati negli ITS: tutti insieme, attorno a una domanda: come cambia la moda quando a guidarla non è solo il gusto, ma anche la tecnologia?
I saluti istituzionali aprono la scena dell'evento "Moda, Tecnologia e Manifattura. Il ruolo del MIMIT e di ARTES 4.0 nella valorizzazione della filiera toscana", organizzato dalla Casa del Made in Italy di Firenze e dal Centro di Competenza ARTES 4.0, con il patrocinio della Regione Toscana. Da
Carmela Smargiassi dirigente del MIMIT che racconta l’impegno della Casa del Made in Italy per sostenere la competitività industriale del Paese, a
Francesca Tonini, Direttrice Esecutiva del Centro di Competenza ARTES 4.0, che ricorda come “il genio artigiano non sia un simbolo da proteggere in un museo ma una forza viva da accompagnare nel futuro”, fino ad arrivare alle voci di
Lorenzo Becattini (presidente di Firenze Fiera),
Luca Gentile (MIMIT),
Maria Tesi e
Carlo Badiali (Camera di Commercio di Firenze) e
Marco Zuffanelli (presidente di Manageritalia Toscana) che rappresentano le istituzioni, i territori, le imprese, i professionisti in questo viaggio nel cuore della moda 4.0 e 5.0.
Formare e trasformare: la nuova generazione della moda
Quando la giornalista
Francesca Franceschi invita i panelist a cominciare, il pubblico è già immerso. Perché prima di tutto bisogna affrontare la radice del cambiamento: le competenze.
C’è stato un momento, durante l’intervento di Marco Crisci (Tertium), in cui la sala sembrava respirare all’unisono. Non perché tutti fossero d’accordo, ma perché ciò che veniva detto era qualcosa che molti intuivano da tempo senza trovare le parole per dirlo. Crisci le parole le aveva: la moda, così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni, ha smesso di funzionare. Non è una crisi estetica, né un rallentamento creativo. È un problema di modello mentale.
Per anni abbiamo creduto che bastasse interpretare il cliente: analizzarlo, segmentarlo, proiettarlo in categorie comode da gestire. Era un mondo in cui le aziende parlavano al consumatore, mai con il consumatore. Poi qualcosa è cambiato. Le persone - non più clienti - hanno iniziato a spostarsi, mutare, riformulare desideri fluidi e passeggeri. È diventato impossibile prevederle con lenti statiche. È qui che entra in scena l’intelligenza artificiale come abilitatore culturale, creativo e organizzativo. Una tecnologia che accelera, che porta esperienza dove esperienza non c’è, che genera prototipi, che riduce tempi e distanze, che abbatte quell’inerzia decisionale che imprigionava i brand nel passato.
Crisci parla di un passaggio radicale: dal fast-fashion al fast-meaning. Non più collezioni per tutti, ma identità condivise tra brand e comunità. Non più ROI, ma ROX, ritorno sull’esperienza. Non più gerarchie verticali, ma organizzazioni piatte, in cui la partecipazione costruisce valore reale.
Accanto a lui,
Laura Bini (UniFi),
Daniela Toccafondi (PIN Prato),
Alessandro Bertini (Modartech) fotografano il nuovo scenario formativo: laboratori, percorsi interdisciplinari, relazioni con le imprese, didattica nei distretti, fino alle manifatture orafe italiane, dove la sapienza artigiana resta un capitale da tramandare attraverso metodi e modelli freschi e digitali.
Con Paolo Torriti, la moda cambia registro e diventa racconto di botteghe, di mani, di dettagli che nessuna tecnologia potrà mai replicare davvero. Torriti accompagna il pubblico in un viaggio nella manifattura orafa italiana, un piccolo universo che sopravvive proprio perché ha custodito la sua complessità.
Si scopre così un settore stratificato: i grandi brand con reti internazionali, le aziende manifatturiere che lavorano per marchi globali o producono con etichetta propria, gli artigiani che presidiano fasi specifiche come saldatura o pulimentatura, e infine gli atelier locali che vendono la propria produzione sul territorio. Una filiera fatta di coraggio e continuità, dove ogni passaggio è un gesto tramandato.
La formazione dedicata al gioiello è altrettanto ricca: lezioni frontali, musei, laboratori, visite in azienda, stage.
Robot che cuciono, dati che prendono decisioni
Se il primo panel ha acceso la miccia, il secondo fa esplodere l’immaginazione.
Lorenzo Dalci (IT Manager di ARTES 4.0) introduce un viaggio dentro la fabbrica del futuro: connessa, automatizzata, intelligente.
Nico Costantino (Crossnova) descrive la figura dell’AI Process Data Analyst, un professionista nuovo, capace di trasformare un processo complesso in un flusso ottimizzato in tempo reale.
Marco Ruffa (Data Life) ammonisce contro i facili entusiasmi: “Nessuna tecnologia vale se non produce risultati”.
Dal mondo della robotica,
Leonardo Cappello (Scuola Superiore Sant’Anna) porta un’immagine che colpisce:
robot tessitori, morbidi e duttili come la stoffa che manipolano, pensati per affiancare gli artigiani nelle attività più ripetitive e usuranti.
Rinaldo Rinaldi (UniFi) inquadra la trasformazione nella sua scala più ampia: la filiera intelligente, un ecosistema dove chi produce dialoga con chi distribuisce e chi consuma.
Ester Falletta e
Enrico Fantini ricordano la condizione intrinseca di ogni passo avanti: inclusività. Nessuno deve restare indietro.
Tracciare per fidarsi, la filiera che non ha più segreti
Il terzo panel inizia con un dato: senza tracciabilità, non può esserci né sostenibilità né lotta alla contraffazione. Ed è proprio qui che la tecnologia cambia le regole del gioco.
Con
Romeo Bandinelli (UniFi) il concetto di filiera smette di essere statico e diventa organismo vivente. L’idea di fondo è semplice: se non hai continuità del dato, non hai controllo. Se non hai controllo, non puoi ottimizzare. Se non puoi ottimizzare, non puoi competere.
Il Digital Twin interviene esattamente qui: è un modello digitale dinamico che simula, prevede, corregge e ottimizza processi reali. Nel mondo moda, che vive di variabilità, piccoli lotti, personalizzazione, tempi strettissimi, questo strumento diventa rivoluzionario. Nei progetti WOKE e TIFO, Bandinelli mostra come sia possibile mappare colli di bottiglia, saturazione delle risorse, flussi logistici, tracciabilità avanzata, qualità del dato, fino a integrare RFID, NFC e DPP per creare una filiera intelligente.
Ad emergere è un messaggio potente: il digitale non serve a controllare l’artigianalità, ma a difenderla. A darle continuità, visibilità, capacità di reagire. A permetterle di crescere in un mondo che cambia velocissimo. Ed è qui che la tradizione incontra la tecnologia.
Quando Gianluca Giaccardi (Tesisquare) sale sul palco, la narrazione si sposta dietro le quinte della moda: quella zona grigia e spesso invisibile della supply chain. È qui che la complessità esplode: fornitori, trasporti, documenti, certificazioni ESG, controlli qualità, magazzini, consegne. Oggi, tutto questo esiste, ma non dialoga.
Tesisquare propone un ribaltamento di prospettiva: una piattaforma unica per orchestrare un ecosistema digitale interconnesso, in cui ogni attore, dal produttore al retailer, condivide dati, processi, risultati. Il cuore della visione è il Digital Product Passport, un’identità digitale che accompagna il capo lungo tutta la sua vita: provenienza delle fibre, processi produttivi, impatto ambientale, certificazioni, riparazioni, riciclo.
Il risultato? Una filiera più forte, più collaborativa, più resiliente. Ma soprattutto più credibile: in un mondo in cui il consumatore chiede trasparenza radicale, raccontare la verità del prodotto diventa un vantaggio competitivo.
Poi arriva
Giuseppe Iannaccone (UniPi) che entra con una domanda: quante copie perfette esistono là fuori? La contraffazione non è solo una minaccia economica, ma un problema culturale, sanitario, identitario. E le soluzioni attuali - QR code, etichette smart, tag RFID - sono ormai vulnerabili, spesso replicabili con strumenti banali.
La risposta arriva dalla fisica: le PUF – Physical Unclonable Functions. Sono come impronte digitali generate dalle imperfezioni casuali del silicio durante la produzione. Nessuna PUF è uguale all’altra, nemmeno il produttore può riprodurla. È autenticità che nasce dalla natura stessa della materia.
Il loro utilizzo nella moda e nel lusso apre scenari totalmente nuovi: ogni borsa, ogni scarpa, ogni gioiello può diventare intrinsecamente autentico, identificabile per sempre. Non è solo tecnologia: è un modo per restituire valore al concetto di originale. E per riportare il rispetto dovuto all’ingegno che quel prodotto rappresenta
La moderatrice
Francesca Tuzzeo (TechnoFashion) porta sul palco la voce delle imprese:
Antongiulio Pacenti presenta il case study del ritorno sui mercati internazionali del marchio storico prêt-à-porter MASKA, fondato nel 1967, da sempre portatore di tradizione e innovazione nel rispetto della produzione made in Italy.
Paolo Mantovani (Federmoda Confcommercio Toscana),
Moreno Vignolini (Ritorcitura Vignolini),
Elena Ricciuti (Hind) raccontano le difficoltà quotidiane e le opportunità per i brand storici che vogliono tornare competitivi.
La filiera italiana è ricca, viva, fortissima. Ma senza dati è cieca.
Virtuale o reale? Nella moda non c’è più differenza
Il pomeriggio si apre in una dimensione nuova, quasi teatrale.
Enza Spadoni, Responsabile Trasferimento Tecnologico e Relazioni Esterne di ARTES 4.0, introduce un panel dove la tecnologia reinventa la creatività.
Il contributo di Sergio Piane (Alkedo) cambia ancora registro e apre una finestra sulla moda come bene culturale. Un abito d’archivio, un costume storico, un capo haute couture non è solo un oggetto di design, ma una testimonianza vivente, un frammento di identità collettiva.
Le tecnologie - scansione 3D, modellazione virtuale, ologrammi, NFT, blockchain - diventano strumenti di preservazione. Permettono di archiviare, studiare, mostrare, valorizzare capi fragili senza esporli al rischio del tempo. Permettono esperienze immersive, passerelle virtuali, collezioni digitali certificate. E aprono modelli economici nuovi, sostenuti da un mercato NFT della moda in piena espansione.
È un modo per dire che la moda non è effimera: è memoria, è archivio, è cultura. E che il digitale può essere la sua cassaforte più sicura e, al tempo stesso, la sua porta verso il mondo
A lui si affiancano
Zoe Spaltini e
Sara Mei (HModa), che raccontano come la prototipia digitale riduca sprechi, tempi e costi, mentre
Serena Fabbri (19.71 Firenze) mostra come un occhiale possa nascere da una scansione 3D personalissima.
Le nuove professioni della moda? Quelle che ancora non esistono
Il quinto panel rimette al centro le persone. Enrico Pedretti, Direttore Marketing Manageritalia, guida un confronto serrato su quali lavoratori la moda sta cercando oggi e cercherà domani.
Antonella Vitiello (MITA Academy) porta sul palco il tema della formazione. ITS MITA Academy rappresenta l’idea che la filiera moda abbia bisogno di una nuova architettura delle competenze, in cui tradizione, tecnologia e percorsi flessibili convivono senza conflitti.
Il lavoro tessile e moda di domani richiede figure ibride: tecnici digitali che conoscono la storia della manifattura, designer capaci di dialogare con l’AI, operatori che comprendono tracciabilità e sostenibilità, professionisti che sanno muoversi in filiere data-driven. Non basta insegnare cosa fare: bisogna insegnare come evolversi. È un modello formativo che riconosce che ogni studente e ogni lavoratore ha un percorso unico. E che il Made in Italy si difende non solo con la qualità dei prodotti, ma con la qualità delle persone che li immaginano e li realizzano.
Margherita Tufarelli (UniFi), Beatrice Parri Gori (Scuola del Cuoio), Alessandro Sordi (Nana Bianca) e Alessia Indice (W Executive) mostrano un settore dove non bastano più competenze tecniche: servono curiosità, adattabilità, interdisciplinarità.
La materia si rigenera: la sostenibilità come rivoluzione industriale
Il sesto e ultimo panel parla di materia, dei luoghi in cui nasce e di quelli in cui purtroppo finisce. Ma soprattutto parla di come restituirle un futuro.
La ricerca universitaria prende la scena con Luca Rosi (UniFi – SusFashionLab). Qui il dialogo con il futuro è totale: fibre bio-based ottenute da colture vegetali, pigmenti naturali, bioremediation, riciclo terziario attraverso pirolisi, gassificazione, depolimerizzazione, recupero di monomeri puri. Cinque dipartimenti - chimica, ingegneria, agraria, economia, architettura - lavorano insieme per reimmaginare la materia. La moda non come settore energivoro, ma come palestra scientifica per nuovi materiali, nuovi processi, nuovi modelli di sostenibilità.
Con
Andrea Falchini (Next Technology Tecnotessile) la discussione si sposta sul futuro della sostenibilità. La moda europea sta per vivere un cambiamento normativo epocale: raccolta differenziata tessile obbligatoria dal 2025, divieto di distruzione dell’invenduto dal 2026, restrizioni su sostanze chimiche, regolamenti sull’export dei rifiuti. Si tratta di uno tsunami normativo. Per affrontarlo servono strategie integrate: sorting automatizzato, riciclo meccanico per materiali nobili, riciclo chimico per materiali complessi, valorizzazione dei residui. Una filiera in cui ogni scarto trova il suo percorso. In cui l’innovazione scientifica non è un cerotto, ma una condizione di sopravvivenza. L’obiettivo non è solo ambientale: è industriale. Serve creazione di materia prima seconda di qualità, creazione di nuovi mercati, collaborazione tra imprese.
Chiara Cordaro (Rifò) porta esempi concreti di circolarità territoriale a km 0, con blockchain, formazione e inclusione sociale intrecciate al business. Poi
Ali Benkouhail (Human Maple) sorride: “Rigenerare anche i mozziconi di sigaretta? Perché no”. E mostra come.